I casi in cui le cabine telefoniche hanno cambiato il loro volto, diventando delle piccole e graziose librerie
Le cabine? Che sono? Ebbene sì. Un tempo, per sentire amici e parenti, non si usavano questi piccoli telefoni cellulari, capaci con un tocco su uno schermo, di compiere qualsiasi funzione, a cominciare dalla più semplice chiamata. Pensare adesso a come contattare o comunicare con l’altro senza lo smartphone sembra essere un’impresa ardua. Eppure, la soluzione c’era: entrare all’interno di uno spazio piccolissimo e inserire un gettone o una tessera prepagata. Tutto qua. Niente impronta sullo schermo. Il solo digitare il numero sulla tastiera era più che sufficiente per sentirsi più vicini. Chiudersi dentro la cabina telefonica non era solo un gesto di Clark Kent, ma riguardava la vita di tutti. Ora, con tutti i cambiamenti che hanno travolto la collettività, dai social network agli ultimi cellulari pieghevoli, questi piccoli spazi si sono nascosti solo nei ricordi degli adulti. Solo alcuni sono riusciti a sopravvivere nel mondo reale. Le classiche cabine rosse che circondano città come Londra sono ormai diventate degli oggetti culturali immortali, ma se si procede oltre i confini inglese, si scoprono in verità alcuni casi davvero inconsueti. Nella maggioranza dei casi, tutto ciò che diventa obsoleto si butta o si demolisce, con alcune dovute eccezioni.
In Svezia, per esempio, nel 2014, Alfonso Ambrossi, di origine italiane, ha deciso di trasformare una delle cabine di Sigtuna in una piccola biblioteca. Questa idea ha sin da subito coinvolto i cittadini, e in poco tempo il Bokkiosk (“il chiosco dei libri”) è diventato un centro culturale molto frequentato. Il principio è semplice: niente tessera e gettoni. L’utente, una volta “dentro” questa biblioteca, può prendere un testo in tutta libertà lasciandone un altro. Un gesto diretto e immediato come la chiamata; solo che qui, la parola è tutta raccolta nelle pagine di questi libri, che possono essere saggi, ricettari o racconti di narrativa.
Non è un episodio isolato. L’Italia ha avuto un ottimo esempio a Torino. In piazza Peyron l’associazione Tribù del Badnightcafè aveva proposto la Cabina dell’arte, che, a differenza del gemello svedese, non ha avuto vita facile. Tra furti, imbrattamenti e atti a dir poco vergognosi, i responsabili di questa piccola iniziativa sono stati costretti a chiuderlo. «Ci dispiace veramente molto – affermano al Corriere – ma combattere contro i mulini a vento è sempre più dura». Che passi il messaggio secondo cui solo un Don Chisciotte possa davvero ravvivare le strade dei quartieri è comprensibile, frutto in parte del poco sostegno verso un’associazione ricca di buone intenzioni per la città. L’esempio di viale Leonardo Da Vinci a Roma può infatti riportare un po’ di speranza nel capoluogo piemontese. Nel cuore della notte un gruppo di tre donne, Minnow, Bob e Dali, ha restituito a una cabina del centro uno scopo per nulla scontato. Nel rimediare agli errori altrui il Gruppi artigiani di prontointervento (Gap) cerca di riportare colore a quella zona. Lo ha fatto aggiustando dei rubinetti di alcune fontane di Roma, e ancor di più mettendo dei libri dentro una cabina lasciata a se stessa, che in poche ore ha riacquisito un’identità.
Riccardo Lo Re