Abbiamo intervistato il giudice del Premio Costa Smeralda in occasione della prossima edizione
Scrittore, drammaturgo e traduttore, Marcello Fois è dal 2022 uno dei membri della giuria del Premio Costa Smeralda. In vista della prossima edizione del premio, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Fois, il quale ha gentilmente accettato di condividere con noi alcune riflessioni sui premi letterari, sulla censura e su quella che lui chiama la stagione eroica della lettura.
Nuova edizione, nuova rosa dei libri. Cosa si aspetta da quest’anno?
Mi aspetto la qualità che abbiamo stabilito ci debba essere. Questo è un premio specialissimo, intanto perché appunto tiene conto della qualità delle opere, ma soprattutto anche della qualità degli autori. Quindi noi tendiamo a scandagliare dove nessuno cerca.
Cosa le ha lasciato la precedente edizione del Premio Costa Smeralda?
L’idea che finalmente si può attivare un premio in cui la carriera dello scrittore, la qualità della scrittura, la capacità di incidere, l’attitudine ad essere autori internazionali e non semplicemente, diciamo così, il fenomeno del momento può avvenire.
Com’è il rapporto con gli altri giudici?
Molto buono. Il bello delle giurie monocratiche è che non c’è bisogno di essere tutti d’accordo, che si dibatte, si discute e si è soprattutto in un club di lettori importanti. Quindi quando faccio una riunione con i miei colleghi porto a casa molte cose.
Come avviene il processo di selezione dei libri in concorso?
Ognuno di noi propone una rosa di libri che ha letto che sono usciti nell’anno, che sono saggi o narrativa. Non si deve limitare a proporli appunto perché li propone a colleghi che sono altrettanto lettori e quindi le discussioni sono in merito alla necessità, come dire di premiare l’uno o l’altro, ma sempre in una rosa di persone che sarebbero tutte premiabili.
Come considera l’equilibrio tra la letteratura commerciale e quella più impegnata?
Ritengo che nel tempo stia diventando uno squilibrio, purtroppo. Però, come dire, ci sono state stagioni di questo tipo da sempre. Noi abbiamo la presunzione di vivere sempre stagioni inedite, ma di fatto la letteratura di consumo è sempre esistita, non ce la ricordiamo, appunto, perché era letteratura di consumo. Ma in una società diciamo così civile culturalmente la letteratura di ricerca dovrebbe essere finanziata dalla letteratura di consumo. Ecco questo non sempre avviene
Qual è l’impatto dei social media sulla letteratura contemporanea e sul ruolo dei premi letterari?
È buono e cattivo, come sempre. Non bisogna mai demonizzare i sistemi. Credo che ci sia una tendenza ad essere un po’ troppo superficiali sui dati, mentre invece un po’ di pedanteria, nonostante i social, sarebbe necessario.
Come sta cambiando la fruizione della letteratura con l’avvento del digitale?
Intanto c’è una lettura, non ci sono vari tipi di lettura. Le altre cose sono altro. Bisognerebbe essere chiari sul fatto che leggere vuol dire prendere una pagina scritta, metterci gli occhi sopra, capire le lettere che ci sono e capire i concetti che quelle lettere stabiliscono. Tutto il resto è un’altra cosa. L’audiolibro è una cosa meravigliosa, ma è ginnastica passiva. Cioè è come pretendere di dimagrire guardando un video di aerobica. Per cui la lettura è quella cosa lì, tutto il resto è utile e bellissimo, ci può aiutare a vivere meglio, ma non è la lettura. Per cui io invito comunque a passare attraverso la lettura.
Cosa può dare la letteratura rispetto a queste nuove forme di comunicazione?
I social media senza la letteratura non esisterebbero, quindi il punto è che cosa possono dare questi nuovi sistemi alla letteratura, visto che tutto deriva dalla letteratura. Tutto è scritto, innanzitutto. Un palazzo è scritto, un balletto è scritto. Non c’è niente che che non dipende dalla letteratura.
È possibile riscoprire il piacere della lettura?
Non so quale sia la strada più funzionale. I premi letterari possono indicare strade. Questo è un premio che indica la strada della lettura, della letteratura e della qualità. Però non è così corretto pensare che in questo paese, per esempio, ci siano più scrittori che lettori. Direi che gli scrittori sono il numero giusto. In questo paese c’è più gente che pubblica che lettori. Tra pubblicare ed essere scrittori c’è una bella differenza.
Quanto la lingua sarda è riuscita a influire sulla produzione letteraria contemporanea?
Noi siamo una cultura letteraria narrativa che è arrivata molto in ritardo rispetto ad altre. Ritardo non è necessariamente un handicap, anzi sotto certi aspetti questo ritardo ci ha favorito, perché siamo diventati autori più incisivi quando altri avevano dimenticato dei sistemi, delle modalità e così via. Noi abbiamo la nostra Manzoni che si chiama Grazia Deledda che è un premio Nobel nel 1926. È ancora l’unica donna che abbia preso un premio Nobel in questo paese. Insomma, mi sembra il caso di ricordarla più spesso e di farcene vanto, molto di più di quanto facciamo regolarmente.
È giusto cambiare le parole di un testo letterario?
Più che ingiusto è davvero inutile, non se ne capisce il senso. Io voglio vivere in un posto dove è possibile leggere il Mein Kampf, per intenderci, non voglio vivere in un posto che sia governato dal Mein Kampf. È molto diversa la situazione. Questa attitudine a piegare la creatività umana alle contingenze è un pochino sciocca, no? Come quelli che tentavano di vestire il David di Michelangelo e quant’altro. Ultimamente l’Italia è stata ospite in una grande esposizione universale nei Paesi arabi e con una grande intelligenza, secondo me paradossale, abbiamo portato un’enorme copia del David di Michelangelo che poi è stata esposta con un drappo nei fianchi. Insomma, non so se valga la pena di sforzarsi in questo senso.
Qual è stata la scintilla che ha fatto nascere la sua passione per la letteratura?
Io sono un lettore compulsivo da tempi non sospetti. Ho imparato a leggere molto prima che a scrivere, ho imparato a leggere da solo. Vivevo in una stagione in cui l’ozio era previsto per i bambini, il tempo dell’infanzia non veniva riempito di tutto in maniera compulsiva. Per cui c’era un sacco di tempo, c’era un sacco di pomeriggi. La mia formazione letteraria è avvenuta innanzitutto da lettore come io credo nel debba succedere. Ho letto un sacco di libri quando ero bambino che non capivo e mi piacevano meravigliosamente, li ho riletti da adulto. Però se io devo pensare al libro che mi ha cambiato la vita intorno ai 10-11 anni direi Il conte di Montecristo, perché mi sembrava una storia strepitosa di cui molte delle quali cose non le capivo proprio. Cioè mi ricordo che, per esempio, si parlava dell’abate Faria e io ignoravo cosa fosse un abate. Però era importante per me averlo finito. Ecco, ho un po’ di nostalgia di quella stagione eroica della lettura, quando il punto era finire il libro e dire “ah, questo l’ho fatto, l’ho letto”.
Francesco di Nuzzo