La professoressa e filologa ci racconta il suo ultimo libro, tra i candidati finalisti al Premio Costa Smeralda nella sezione Saggistica
Molti autori sono considerati difficili, pochi lo sono come Carlo Emilio Gadda. L’autore del Pasticciaccio più famoso della letteratura italiana ha dato filo da torcere a non pochi studenti con il suo vocabolario complicato. Se solo ci fosse un modo per riuscire a capirlo meglio… Scritto con un collettivo di sessanta “adepti” dell’opera di Gadda, il “Gaddabolario”a cura della professoressa e filologa Paola Italia, raccoglie 219 vocaboli, dalla A alla Z, per aiutare i lettori ad addentrarsi per la prima volta nei labirinti dell’Ingegnere e godere della sua prosa.
In occasione della candidatura del suo ultimo libro, abbiamo raggiunto la professoressa per parlare un po’ di Gadda, della sua opera e dell’importanza che l’ingegnere ha avuto per la letteratura italiana.
Come si sente riguardo la sua candidatura al Premio Letterario Costa Smeralda?
Sono molto felice, e moltiplico la felicità per sessanta… quanti sono gli autori di quest’opera collettiva. Il Gaddabolario è infatti una raccolta di 219 parole di Gadda – il numero viene dal civico di Via Merulana, teatro del Pasticciaccio – spiegate da altri 60 studiosi, appassionati, “adepti” dell’ingegnere. Quindi è una felicità plurale…
Com’è la nata la necessità di scrivere questo vocabolario focalizzato proprio sul linguaggio utilizzato da Gadda?
Quest’anno cadono i 50 anni dalla morte di Gadda, e con il Centro Studi Gadda, fondato con Mariarosa Bricchi, Giorgio Pinotti e Claudio Vela abbiamo pensato a cosa potevamo fare per avvicinare più lettori possibili a uno scrittore considerato a torto difficile, ostico, proprio per il linguaggio che ha utilizzato. Si dice che Gadda sia il Joyce italiano, per le sue invenzioni e sperimentazioni linguistiche; è stato paragonato a Musil, per la sua formazione ingegneresca, ma anche a Proust, per avere costruito, con diversi romanzi, un unico grande romanzo che è un percorso conoscitivo della realtà. Certo, non si può dire che Gadda sia uno scrittore facile, ma è un peccato che nelle scuole vi sia ancora tanto timore nel farlo conoscere agli studenti… A leggere Gadda ci si diverte moltissimo, si ride irrefrenabilmente, a volte fino alle lacrime. Altre volte è un riso amaro, sarcastico, ma ogni lettura di Gadda è un’avventura… È per questo che abbiamo deciso di presentarlo in “pillole”, scegliendo 219 parole tratte dalle sue opere più importanti, contestualizzate da una citazione e spiegate al lettore. Un modo per avvicinarsi a Gadda a piccole dosi. Per renderlo – avrebbe detto lui – più “potabile”…
In che modo l’opera di Gadda è riuscita a innovare la letteratura italiana?
Gadda è il primo scrittore, nato nell’Ottocento (era nato nel 1893) che tratta la letteratura come uno strumento di “ricerca indefettibile della verità”, e che inserisce quindi ogni atto letterario in una più ampia indagine filosofica. Non a caso, dopo la laurea in ingegneria, e due anni di lavoro nei cantieri di Buenos Aires, Gadda si iscrive alla Accademia di Scienze e lettere e segue e supera tutti gli esami in filosofia. Concorda la tesi con Pietro Martinetti sui Nouveaux Essais di Leibniz, ma il lavoro gli sfugge di mano e diventa un suo testo originalissimo e poco ortodosso: La meditazione milanese, che rimane inedito fino al 1969. In questo “trattato” sui generis, Gadda spiega che la realtà è costituita da un sistema di sistemi, che si deformano reciprocamente: è un organismo complesso. Ed è naturale che la lingua adatta a rappresentarla non possa essere la monolingua manzoniana (per quanto lui sia un “devoto” di Manzoni”), ma debba essere una lingua complessa, che attinge a tutti gli apporti della tradizione italiana, e non solo, dei dialetti e della poesia, dalle lingue straniere e del mondo delle scienze e delle tecniche, con una capacità contaminatoria e inventiva che è anche uno straordinario esercizio di libertà. Per Gadda, inoltre, il problema letterario è legato a tutta la rappresentazione della realtà: naturale, storica, culturale, ma anche geologica, come un vero e proprio filosofo naturale. La sua novità e complessità è stata capita da uno dei suoi più acuti lettori, Italo Calvino, che è stato a volte contrapposto a Gadda per avere privilegiato uno stile “semplice”, e che invece apprezzava la prosa gaddiana tanto da farne il centro di riflessione della lezione americana più affascinante, quella dedicata alla “complessità”. Calvino ha scritto che “l’oggetto dello scrivere di Gadda è il sistema di relazione tra le cose, che attraverso una genetica combinatoria mira a una mappa o catalogo o enciclopedia del possibile, e, risalendo una genealogia di cause e di concause, a collegare tutte le storie in una, nell’intento eroico di liberarsi dal groviglio dei fatti subìti passivamente contrapponendo loro la costruzione d’un «groviglio conoscitivo» – o, noi diremmo, d’un «modello» – altrettanto articolato”. Non a caso la parola “chiave” che rappresenta meglio la sua idea della realtà è “gnommero”, ovvero, “garbuglio”, “groviglio”…
Gadda è spesso considerato un autore difficile, ma è davvero così?
Ciascuno degli autori che hanno partecipato al Gaddabolario hanno avuto, alla prima lettura di Gadda, un effetto “straniante”. È successo anche a me al primo incontro con la pagina gaddiana: leggere la propria lingua e percepirne un’altra… non orientarsi tra i periodi che Gadda stesso chiama “a cavaturacciolo”, dovere abituarsi al ritmo di una sintassi digressiva, trapuntata da parole inusitate. Alla prima lettura è disarmante… ma non accade lo stesso quando si ascolta per la prima volta una musica non ortodossa? Il be-bop, tanto per fare un esempio, non è un jazz “accomodante”, non accoglie l’ascoltatore assecondando le sue certezze, le sue abitudini, ma costringe a fare proprie le novità espressive che all’inizio sembrano così estranee, e che, al secondo o terzo ascolto (per Gadda alla seconda o tgersa lettura), cominciamo a capire, a riconoscere, ad apprezzare. E che poi trasformano questa prosa in una delle più originali, ricche, sorprendenti, temerarie e affascinanti della letteratura italiana. Perché in nessun’altra prosa come in quella di Gadda si trova – per usare le parole di uno dei suoi maggiori studiosi, Emilio Manzotti – una «tensione conoscitiva che anima il testo, nello strenuo sforzo di scavare la realtà, di andare oltre la superficie per mostrare della realtà la complessa e stupefacente costituzione. Eliminando ogni automatismo, ma anche ogni pregiudizio moralistico.
C’è una parola tra quelle proposte che la affascina particolarmente?
Per rappresentare la lingua, anzi le lingue di Gadda abbiamo attinto a tutte le sue opere, dall’Adalgisa alla Cognizione del dolore, dal Pasticciaccio al pamphlet antimussoliniano, Eros e Priapo. E abbiamo scoperto che Gadda attraversa tutti gli ambiti del sapere, in un enciclopedismo irriverente, attratto dalle parole della scienza, che utilizza per dare un “supersignificato” alla lingua d’uso. Ecco, tra le 219 parole del Gaddabolario, le mie preferite sono quelle scientifiche: basedowizzato, ebefrenico, ecolalia, eredoluetico, esavalente, eupeptico, fagico, ister.ide, maclaurizzare, morulare/-rsi, rachitoide, scalenoedrico, sesquiossido, che portano nella lingua letteraria un sapere solitamente considerato antitetico a quello umanistico, e che invece Gadda ha unito con esiti a volte sorprendentemente efficaci, e – lui direbbe – “euristici”. Per rappresentare la complicata digestione di un ossobuco da parte dei borghesi “attavolati” (la borghesia, con i suoi miti e riti, è la grande protagonista dell’opera di Gadda), usa il tecnicismo “peptonizzare”, in un passo che ha un crescendo ritmico strepitoso, fino alla “marcia trionfale finale”: “E così rimanevano: il gomito appoggiato sul tavolino, la sigaretta fra medio e indice, emanando voluttuosi ghirigori; mescolati di miasmi, questo si sa, dei bronchi e dei polmoni felici, mentre che lo stomaco era tutto messo in giulebbe, e andava dietro come un disperato ameboide a mantrugiare e a peptonizzare l’ossobuco. La peristalsi veniva via con un andazzo trionfale, da parer canto e trionfo, e presagio lontano di tamburo, la marcia trionfale dell’Aida o il toreador della Carmen” (il passo è tratto dall’edizione della Cognizione del dolore, pubblicata da Adelphi nel 2017, p. 158). Un’antiepica del quotidiano.
Francesco di Nuzzo