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La parola a Mario Tozzi, intervistato dopo la cerimonia del Premio Costa Smeralda 2023

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Ecco la trascrizione dell’intervista realizzata da Davide Mosca al celebre divulgatore, cui era stato appena riconosciuto il Premio Cultura del Mediterraneo

Il Mediterraneo è stato anche al centro della sua ultima pubblicazione. Il Mediterraneo è una piccola porzione degli oceani nel mondo, eppure è anche il più sfruttato e il più in pericolo dei mari. Perché è così importante proteggerlo e cosa si può fare per convincere gli scettici che ancora oggi non credono a questo pericolo?
“Il Mediterraneo è un po’ la prova. Se riusciamo, con tutta la storia che c’è alle spalle, a correggere le rotte sbagliate qui è probabile che lo possiamo fare anche in altre parti del mondo. Anche perché qui le criticità sono più pesanti. Si pensa alle isole di plastica nell’Oceano pacifico ma qua son più dense, sono addirittura più gravi che non in altri mari. È un mare piccolo, si diceva l’uno percento dei mari del mondo, però ha quasi il 20% dei traffici. Quindi, se noi riusciamo qui a elaborare un modello di convivenza migliore di quello che ci è stato fino adesso forse riusciamo anche a esportarlo altrove, se non riusciamo qui, si fallisce dappertutto. Perché poi, dopo, diciamo il mare è vero che ha un grande potere di autorigenerazione, ma le problematiche che scarichiamo lì dentro sono sempre maggiori. Perché poi per convincere gli scettici c’è poco da fare, nel senso che quelli che pensano che “il cambiamento climatico non esiste”, che “il tempo è sempre cambiato”, che “figurati se tocca a noi”, “figurati se è colpa dell’uomo”, io non ci parlo nemmeno più perché è inutile provare a parlare con qualcuno che non sa quello che dice. Ormai lo dimostra più che altro la preoccupazione di chi fa beni, servizi e merci: se loro si stanno riconvertendo, non è che lo farebbero se non ci fosse davvero pressante questo bisogno, lascerebbero perdere, direbbero: “Non è vero, è inutile fare questo lavoro”.

La Sardegna è spesso al centro delle sue attività di ricerca e di studio e anche di divulgazione attraverso le sue trasmissioni televisive. C’è una peculiarità che negli anni l’ha colpita e che magari approfondirà nelle sue trasmissioni televisive?
“La Sardegna non finisce mai… quello che mi interessa particolarmente è la Sardegna arcaicissima, cioè prenuragica, per intenderci: dei pozzi sacri dell’acqua, delle statue dei giganti, delle piramidi come Monte d’Accaddi. Ecco, quella Sardegna lì mi incuriosisce molto, cioè prima dei Nuragici, quella arcaica come gli Egiziani, come i Maltesi. Ecco, quella Sardegna lì mi interessa molto, quindi mi riprometto di approfondire quella anche perché in gran parte sconosciuta, quindi la approfondirei volentieri.”

Lei prima di tutto è un ricercatore, è uno studioso. Come e quando nasce la sua intenzione di diventare divulgatore? Come si diventa divulgatori scientifici?
“Io per caso, non so gli altri come abbiano fatto, ma a me piaceva raccontare quello che facevo. Casualmente era capitato in Rai che ci fossero tanti documentari geologici, che nessuno sapeva commentare. Io per caso capitai attraverso una serie di concatenazioni casuali a commentarli. Da quel momento ormai son passati venticinque anni e non ho più smesso, perché comunque è molto piacevole, è un lavoro molto creativo, se ci si pensa. Scrivi due testi, li racconti, anzi, io non li scrivo nemmeno: vado a braccio. Per me è stato un caso”.

Come commenta invece questa avventura Costa Smeralda®, dove il 90 percento dei territori che vengono gestiti dal Consorzio sono ancora incontaminati? È un qualcosa che ha voluto l’allora principe Aga Khan e che ancora oggi viene portata avanti dal Consorzio. Potrebbe essere, secondo lei, un modello di turismo in qualche modo da esportare, e cercare di preservare ovviamente i territori per quanto possibile?
“Da un punto di vista generale, preservare è sempre l’obiettivo. L’esperimento fu ardito ai suoi tempi. Al tempo era d’impatto ambientale, ma il fatto di averlo contenuto con le costruzioni di un certo tipo e soprattutto con i grandi spazi conservati, ha permesso oggi di leggerlo molto meglio di tutto quello che è successo in tante altre spiagge del mediterraneo: albergoni costruiti sul mare, case a schiera, costruzioni non finite… Spesso quindi, dal punto di vista dell’equilibrio ambientale, oggi si presenta effettivamente come un modello del risultato. Vederlo oggi, in confronto a quello che è successo alle spiagge dell’ex Jugoslavia, alle spiagge della Spagna e adesso in Italia… ma insomma avercene, da quel punto di vista. Non so se è stata una lungimiranza voluta, ma l’obiettivo però è stato effettivamente raggiuntivo”.

Davide Mosca

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