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“Siamo troppo vecchie per imparare tiktok”, l’intervista con Chiara Valerio

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Con la nuova edizione sempre più vicina, abbiamo parlato con la giudice riguardo le novità del Premio Costa Smeralda

Scrittrice, conduttrice radiofonica e curatrice editoriale, Chiara Valerio è dal 2022 tra i giurati del Premio Costa Smeralda. In vista della prossima edizione del premio, che si svolgerà a Porto Cervo questa primavera, abbiamo avuto l’opportunità di parlare con la scrittrice, che ha gentilmente condiviso con noi alcune riflessioni sul premio letterario rispondendo, in pillole, a qualche domanda.

Cosa si aspetta dall’edizione 2024?

Mi aspetto che il Premio Costa Smeralda continui a tenere insieme e a tessere la possibilità di far incontrare e segnalare i libri che tengano conto di che cos’è il Mediterraneo, cioè quel bacino di incroci che è stato per la maggior parte della storia umana e non un confine, bensì qualcosa dove continuare a essere per dirla diciamo religiosamente sincretici e per dirla in altro modo miscellanei. Insomma, il Premio Costa Smeralda mi sembra, anche per il luogo dove si tiene, appunto la Sardegna, che sia un posto dal quale guardare bene cosa succede nella letteratura italiana, nella saggistica italiana e anche in quella del super ospite straniero.

Quali sono i criteri nella scelta della rosa dei finalisti?

Io ho sempre difficoltà con le definizioni, nonostante – o forse proprio perché – sono stata una matematica per tanto tempo. Però quello che invece mi inquieta, quello che invece mi piace molto e mi piace definirmi è appunto essere una lettrice. Quindi il primo criterio è quello che un libro in qualche modo mi piaccia. Ovviamente questo piacere e questo piacermi di un libro ha a che fare con la forma linguistica e la forma linguistica ha a che fare con ciò che racconta, anche perché non faccio tanto la differenza tra forme e sostanza. D’altronde, come dico sempre a mio nipote, se le navi che vedi al largo avessero lo stesso peso, ma fossero un cubo pieno affonderebbero. Quindi sostanzialmente la forma linguistica, e soprattutto mi sembra che sia importante leggere i libri e i saggi scritti da italiani contemporanei, che sono quelli che poi premiamo nella nel Premio Costa Smeralda, e anche le traduzioni fatte da traduttori italiani di autori stranieri, perché mi sembra che sia una forma di manutenzione nella lingua: leggere, scrivere e tradurre.

Come e dove trova il tempo di leggere così tanti libri?

Io, di base, sono molto più impegnata nella lettura che nella scrittura, anche quando scrivo i miei libri.

Perché ha scelto di far parte della giuria del Premio Costa Smeralda?

Perché mi piacciono le discussioni che facciamo durante le riunioni di giuria, perché non sono mai violente ma sono sempre piene di acribia, perché nessuno vuole avere ragione su un altro ma tutti vogliamo trovare una soluzione e siamo sinceramente curiosi di cosa hanno letto gli altri nei libri che alla fine rimangono nella rosa finale. Quindi ho scelto di partecipare perché le persone che sono con me in giuria, le donne e gli uomini con i quali io sono in giuria, mi sembra che siano dei grandi dei grandi lettori, delle grandi lettrici e soprattutto delle persone con cui fare delle discussioni. Ecco, io penso che la cosa più divertente del mondo sia discutere sui libri che si è letti e confrontare i punti di vista, o discutere sui punti di vista, insomma anche mettere zizzania sui punti di vista.

Cosa significa essere un intellettuale?

Far studiare i figli, che uno li abbia o no. Infatti diciamo la prima la prima classe di intellettuali che è stata tacciata di essere casta sono stati professori di scuola secondaria e professori delle scuole medie, ai quali veniva detto che avevano tre mesi di vacanze all’anno. Quindi sì, penso che intellettuali siano coloro che fanno studiare i figli, che li abbiano no, quindi sono scrittori, scrittrici, gli editori, le editrici, i lettori le lettrici, i professori, le professoresse e tutti coloro che non facendo mestieri con la testa, ma facendo mestieri con quel cervello che sta nelle mani fanno comunque studiare i figli. Cioè intellettuali sono quelle persone, secondo me, che credono che studiare sia una forma precipua dell’umano.

Preferirebbe vivere in un mondo senza elettricità o senza libri?

In un mondo senza elettricità.

C’è un libro in cui si è immedesimata di più nel corso delle sue letture?

Il libro in cui ho frainteso maggiormente l’immedesimazione, perché i libri, come dice Marino Sinibaldi, non solo consentono l’immedesimazione, ma pure il fraintendimento dell’immedesimazione, è ovviamente L’età dell’innocenza di Edith Wharton. Cioè io mi sentivo Newland Archer, semplicemente perché Newland Archer era l’unico che Ellen Olenska amava. Però ovviamente ero lontanissima da Newland Archer, sono nata in un paese piccolissimo e senza neanche una stigmate o un quarto di aristocrazia. Però, sì direi L’età dell’innocenza. E ovviamente, come tutti e tutte, Dantès ne Il Conte di Montecristo.

Che rapporto ha con i social?

Mi piace molto Instagram, perché da bambina mia madre mi ha regalato una macchinetta fotografica e scattavo come una pazza e ho continuato a farlo fino a quando ho avuto la pazienza anche di sviluppare le fotografie. Mi piace molto Instagram, anche perché a questo punto i figli dei miei amici che hanno 14 15 anni mi dicono che sono una vecchia perché uso i filtri, però io continuo a utilizzarli. Penso che i social, come hanno dimostrato scrittori e scrittrici come Tommaso Vincio, Riccardo Falcinelli e Gaia Cenciarelli, possono essere delle piattaforme di feuilleton, cioè delle forme di racconto o di diario pubblico o anche diciamo utilizzati esattamente come un’agenda. Mi capita di scrivere delle cose e di non pubblicarle e anche di scattare fotografie e non pubblicarle. Quindi sono degli strumenti del tempo, uno deve impararli. Mi dispiace che ho molto cambiato il mio rapporto con i social da quando Michela Murgia… lei è stata veramente un nerd sedicenne di provincia e quindi ossessionata da tutti da tutti i social e dai mezzi di comunicazione, a un certo punto mi ha detto “Siamo troppo vecchie per imparare tiktok” e lo penso ogni volta che vedo un video tiktok. Anche perché i video tiktok adesso sui libri funzionano, o si dice che funzionano molto. D’altronde un pochino sì, nel senso che La canzone di Achille di Madeline Miller per Sonzogno è stato uno dei libri che hanno probabilmente segnato il passaggio anche nella promozione italiana della funzione di tiktok. 

Riccardo Lo Re e Francesco di Nuzzo

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