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“Ma tu chi sei” – Intervista all’autore Bruno Arpaia

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Lo scrittore ci racconta il suo ultimo libro, tra i candidati finalisti al Premio Costa Smeralda 2023 per la Narrativa

Un giorno ti accorgi che stai sparendo dalla memoria di chi ti ama. È un cambiamento lento, forse all’inizio non ci fai nemmeno caso. Poi succede che all’improvviso chi prima ti chiamava con affetto “figlio” o semplicemente “Bruno” fatica a riconoscerti e ti guarda con gli stessi occhi smarriti di un bambino. Racconto intimo che affronta il dramma personale della malattia della propria madre affetta dalla sindrome di Alzheimer, “Ma tu chi sei” (Guanda) è l’ultimo libro dello scrittore Bruno Arpaia, che regala al lettore una riflessione potente sull’identità e sulla memoria.

Il romanzo è stato scelto come finalista del Premio Costa Smeralda per la narrativa e, in occasione della sua candidatura, abbiamo raggiunto lo scrittore per parlare delle motivazioni che lo hanno spinto a scrivere un libro così personale, dell’importanza della letteratura e del valore del ricordo.

Come si sente riguardo alla candidatura per il Premio letterario Costa Smeralda?
Sono contento e onorato, tanto più che con la Sardegna ho legami anche lavorativi. Contribuisco a organizzare un festival ad Alghero e ci vengo spessissimo, è una regione che mi piace moltissimo. E ovviamente essere in questo premio così prestigioso mi fa un enorme piacere, e sono anche in ottima compagnia di bravissimi scrittori e scrittrici.

Può spiegarci come è nata l’idea del libro?
È nato da una situazione personale, sociale, complessa e mai verificatasi prima. All’inizio c’è la malattia di mia madre, l’Alzheimer, che mi ha messo di fronte a molte cose. Poi c’è stata la pandemia, c’è stata la guerra, c’è stata l’età mia, che forse mi fa guardare con un po’ meno di speranza all’umanità, c’è un po’ di disillusione politica. Tutto questo mi ha dato una sensazione generale che non penso sia solo mia individuale, ma sia piuttosto dell’epoca, ovvero la sensazione di fine, di pericolo incombente. Per cercare di spiegarla o di capirla, mi è sembrato naturale e doveroso cercare di arrivare a questo libro “nudo”, cercando di conoscere, di esprimere e approfondire questo grumo che avevo dentro. Non penso che la scrittura sia catartica o che possa servire a guarire. Questo libro mi è costato molto in termini emotivi, però penso di aver capito meglio questi elementi, perché la letteratura è anche una forma di conoscenza, serve a chi scrive ma serve anche a chi legge. Se non si cambia un po’ da quando si inizia un libro a quando si chiude l’ultima pagina, allora la letteratura secondo me non serve a nulla.

Come è stato confrontarsi con una realtà che l’ha toccata molto da vicino?
Non è stato facile, perché mi ha implicato uno sforzo emotivo forte. Ho cercato di trattarlo con le risorse che ho imparato durante la mia carriera di scrittore, cercando di organizzarlo in forma di romanzo così da avere la possibilità di approfondire queste tematiche. È un libro strano per me, ancora oggi quando faccio presentazioni ho sempre un po’ di pudore a parlarne, non tanto per me, ma per mia madre. Nel libro a un certo punto mi chiedo se non sia addirittura osceno mettere in pubblico la sua malattia. Però ho sentito che era l’unica cosa che potevo fare anche per amore nei suoi confronti, per cercare di esprimere e di capire perché questa sensazione di pericolo e di fine che mi opprimeva fosse così intensa. È stato necessario, non potevo fare a meno di scriverlo.

C’è qualcosa in particolare che spera di trasmettere al lettore con questo libro?
Prima di tutto la sensazione che quando ti trovi di fronte a una persona cara, come una madre, che perde memoria anche di te, dovrebbe costringere a farci riflettere sulla nostra stessa identità. Noi abbiamo in questa epoca una specie di ossessione per l’identità, ognuno cerca una propria identità e ci si rinchiude come in una corazza. Invece l’identità è qualcosa di fluttuante, qualcosa che si può indossare come vestiamo gli abiti. Se non avessimo questaossessione identitaria ci sarebbero molte meno aberrazioni di quelle che vedo in giro. Un’altra cosa che mi ha colpito è che molti lettori e lettrici mi hanno detto che questo libro fa sentire meno soli di fronte a cose che purtroppo toccano tutti noi, come la malattia di una persona cara o la morte che inevitabilmente ci attende. Se questo libro riesce a fare questo, io mi sento molto soddisfatto.

In che modo pensa che la letteratura possa sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo certe tematiche, a volte considerate tabù?
La letteratura deve essere l’occhio dello scrittore, capace di guardare quel po’ di male che è dentro ognuno di noi. La letteratura non serve a dare risposte, ma serve ad approfondire certe domande e a darci la possibilità di continuare a farle sempre più profonde e sempre più complesse. Sono narrazioni e storie che servono a farci capire meglio la complessità del mondo in cui viviamo. La letteratura ci dà lo spessore e il senso di un tempo, che non è la concezione occidentale di una linea retta che procede inesorabile dal passato verso il futuro, ma qualcosa di più complesso. Soprattutto in una società in cui è come se ci avessero rubato sia il passato sia il futuro e che ci costringe a vivere in un eterno presente, la letteratura può aiutarci a cambiare il nostro modo di essere facendoci vivere altre vite che non avremmo mai potuto sperimentare altrimenti. Amplia la nostra esperienza e ci fa essere più adatti al vivere in società e in comunità.

Con l’avanzamento tecnologico, tra intelligenze artificiali e memorie di archiviazione quasi infinite, lei pensa che le persone stiano un po’ perdendo la capacità di ricordare?
I ricordi servono non tanto a immagazzinare il passato, ma a poter proiettarci nel futuro. Riguardo all’intelligenza artificiale e alle nuove tecnologie io sono un grande entusiasta, però dobbiamo sapere – e ci sono libri e ricerche neuroscientifiche a riguardo – che anche leggere a schermo pian piano fa perdere i circuiti neuronali che abbiamo sviluppato molto recentemente, quelli della lettura, del pensiero complesso e dell’empatia.  Questo mi fa molta paura. Dovremmo essere in grado, invece, di contemperare le enormi possibilità date alle nuove tecnologie con la conservazione di queste tre cose importantissime, ma quello che vedo oggi è una continua semplificazione del pensiero e una scarsissima capacità di empatia e di entrare in contatto con gli altri. Siamo tutti rinchiusi nelle prigioni del nostro io e questo ha a che fare in qualche modo con le nuove tecnologie, che però hanno delle enormi potenzialità e possono dare degli enormi vantaggi.

Francesco di Nuzzo

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