La scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda in un editoriale su La Stampa esprime il suo cordoglio su quanto sta succedendo a Tel Aviv e Teheran
Al quarto giorno di guerra non si placano i raid su Tel Aviv e Teheran. Il numero di morti non si ferma, e aumenta giorno dopo giorno nonostante gli appelli di fermare le aggressioni da parte dei due Stati. Lo scenario è incerto, ma come sempre sotto i missili di Israele e Iran a farne le spese sono soprattutto le persone che non hanno alcuna colpa. È proprio su questo che si concentra l’editoriale su La Stampa di Elena Loewenthal. Ovvero che «ogni guerra porta con sé la morte: di soldati, condottieri e soprattutto civili. Uomini, donne e bambini che la guerra non la fanno ma ci precipitano dentro in un giorno più o meno qualunque e da quel giorno per loro tutto cambia».
Qualunque sia l’azione o la reazione a un determinato attacco, «non c’e pezzo di umanità che, prima o poi, non sia stata anche vittima della guerra. Sotto le bombe, nel fuoco che divora la propria casa, faccia a faccia con una mitragliatrice che spara all’impazzata». In tutto questo le persone che ci hanno lasciato hanno un solo unico diritto che è quello del ricordo per non rimanere solo un numero di un bollettino di guerra. Elena Loewenthal cita i nomi di Israel e Eti, Manar Shatha, Hala, morti dopo questi primi giorni di conflitto. «Qui i morti sono presenza: volti, nomi, ricordi, lacrime. Vita che resta, case devastate, strazio e vita che va avanti, nonostante tutto. Le loro foto sono sui giornali e in rete, si parla di loro. Ci sono». Diverso invece è il discorso del regime iraniano. Anche lì, le vittime ci sono e reclamano il loro nome in modo da essere ricordati. Eppure «più forte di tutto, laggiù a Teheran, più dell’unico diritto rimasto ai morti, più della assoluta e incontrovertibile verità che la guerra miete morti, più di tutto a Teheran vince la propaganda. E la propaganda non vuole morti, non li riconosce, fa come se la guerra non esistesse». Per Loewenthal «è solo il nemico a cadere in questa guerra». E in questo conflitto le vittime del proprio fronte scompaiono anche se sono lì, davanti ai nostri occhi. «C’è qualcosa di indegno in questa rimozione che va contro ogni basilare principio di rispetto per la vita. Come se tutte quelle vite spazzate dalla guerra non avessero avuto alcun senso, né prima quando c’erano né ora che non ci sono più», conclude la scrittrice.
Riccardo Lo Re