La scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda è intervenuta con un editoriale sul festival della canzone italiana condotto da Carlo Conti
Tutti, più o meno, sono rimasti incollati davanti allo schermo almeno una volta per il festival di Sanremo. La curiosità, i colpi di scena, gli ospiti internazionali che si alternano durante la serata. È di fatto l’evento più atteso in Italia come dimostrano per altro i numeri di questi ultimi giorni. Oltre alle canzoni in gara, la 75esima edizione sarà molto probabilmente ricordata per essere il festival delle lacrime. Quelle di Carlo Conti che ricorda la mamma in conferenza stampa; quelle della Clerici con l’omaggio a Fabrizio Frizzi; quelle del piccolo Vittorio Bonvicini dopo l’esibizione di Damiano David; e quelle della giovane Francesca Michielin che non riesce a trattenersi al termine dell’esibizione.
Elena Loewenthal, con un editoriale su La Stampa, ha voluto commentare questo festival focalizzandosi sopratutto sul sentimento mostrato davanti alla televisione. «La commozione è lo slancio più sociale che ci sia perché non ci si può mai commuovere da soli, perché esige l’altro da sé. È transitiva, la commozione: significa sentire qualcosa insieme a qualcuno, per qualcuno». È l’emozione più autentica secondo la scrittrice nonché giudice del Premio Costa Smeralda. «Commuoversi con e per gli altri esige infatti un apparato emotivo robusto, bisogna non avere paura di esporsi, non aver bisogno di stare sulle difensive ma neanche di dimostrare alcunché. Commuoversi, insomma, è una faccenda complessa, bella e profondamente, inevitabilmente altruista».
L’impressione, afferma l’autrice, è che la commozione vista in tv sia diversa rispetto a quella che spesso condividiamo con le persone a noi vicine. «Si piange, insomma, più per se stessi, su se stessi e con se stessi che con gli altri. Piangono tutti di commozione, ognuno a modo suo. Si espongono, mettono a nudo i propri sentimenti, ci dimostrano che sono umani come noi, anzi di più. Sbandierano una fragilità emotiva che buca lo schermo (…) ma che non ha tanto a che fare con la commozione perché è decisamente più autoreferenziale che sociale».
Riccardo Lo Re