Il commento della giudice del Premio Costa Smeralda a seguito della convocazione di una riunione sulla stanza d’ascolto a Torino
Ha creato scalpore l’immagine di sette uomini a parlare di aborto. È successo a Torino al grattacielo della Regione Piemonte dove si è svolta una riunione per la riattivazione della Stanza dell’Ascolto. Il Tar ha ordinato la chiusura dichiarandola illegittima dopo che è stata siglata una convenzione tra la città della salute di Torino e l’associazione pro-vita. L’incontro serviva quindi a restituire un servizio al cittadino. Ma c’è un problema: non ci sono donne.
Il ritratto di quella giornata è stata contestata sui social e sui giornali come ha fatto Elena Loewenthal. In un editoriale su La Stampa, il giudice del Premio Costa Smeralda, comincia sostenendo che l’ascolto “esige un impegno che non è mai comodo da assecondare perché significa pensare il prossimo come qualcuno che è diverso da te, che non pensa e non sente nel tuo stesso modo”. Un aspetto fondamentale nelle relazioni umane di tutti i giorni.
Proprio per questo lo scatto di quella “stanza dell’ascolto per la stanza dell’ascolto”, come definisce Loewenthal, crea non pochi disturbi a chi lo vede. Per la scrittrice “ha tutta l’aria di essere una di quelle occasioni in cui mica si ascolta per davvero. Si è convinti di ascoltare ma non è così”. Questo perché non ci sono le voci da mettere al centro di questo tema così spinoso e doloroso come l’aborto: quelle delle donne. “Ne sarebbe bastata una”- conclude – “Una donna che abbia vissuto o meno il dramma, la decisione, l’esperienza, il dolore e magari pure il sollievo di un aborto. Perché l’interruzione di gravidanza, voluta o costretta dalle circostanze, sofferta o meno, dubbiosa o decisa che sia è sempre una faccenda delicata che bisogna sapere ascoltare prima e al posto di giudicare”.
Riccardo Lo Re
