A sostenerlo è la scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda Elena Loewenthal in un editoriale pubblicato su La Stampa
Continua a far discutere il gruppo – ora chiuso – ‘Mia Moglie’. Dal 2019 contava oltre 30mila iscritti che condividevano o semplicemente osservavano le foto intime e private di mogli o compagne a loro insaputa. Nelle scorse ore, sul Corriere della Sera, la giornalista Giusi Fasano è riuscita a contattare chi davvero ha scoperto questa pagina, ovvero un’infermiera di 35 anni di nome Federica. Il primo campanello d’allarme è apparso dopo aver notato una fotografia che uno dei mariti anonimi iscritti al gruppo aveva appena postato sul gruppo. Voleva vederci chiaro dopo aver visto quella foto apparsa sulla pagina Facebook. Una volta cliccato sulla pagina, si è trovata di fronte a immagini raccolte senza il consenso delle loro partner. Ha scritto alla polizia postale, a Meta, ma senza successo. Il caso è diventato nazionale dopo che ha scritto all’autrice Carolina Capria la quale ha subito segnalato la vicenda che tutti noi oggi conosciamo.
Ma «che cosa spinge degli esseri umani di sesso maschile a pubblicare fotografie intime rubate a donne presumibilmente “vicine” se non consorti, come recita il nome del gruppo?» si chiede la scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda Elena Loewenthal in un editoriale pubblicato su La Stampa. Per l’autrice si tratta di «una fragilità tossica quella che si racconta in questa storia, il segno di una cronica inettitudine a confrontarsi con la libertà propria e altrui».
È proprio il tema della libertà che sta alla base di questo cortocircuito secondo Loewenthal: «Dell’uso e dell’abuso che se ne fa, dell’idea malsana, confortata dalla facilità d’uso della realtà virtuale, per cui tutto si può fare, avere ed essere. Perché quello che conta è la tua libertà, quella degli altri non ti riguarda». La libertà del resto non è assoluta, ma è limitata dal rispetto dei diritti e della dignità dell’altro come sostiene la stessa autrice. «Forse è giunto il momento di affrontare quella specie di tabù che è, oggi, la limitazione della libertà. Anzi, delle libertà».
Riccardo Lo Re
