Per lo studioso l’intelligenza artificiale è già pronta a sviluppare una sua coscienza. «Un problema che mi angoscia da sempre»
C’è molto dibattito sulla possibilità che l’intelligenza artificiale possa sviluppare una propria coscienza. I cibernetici, scrive Chiara Valerio su Repubblica, ne parlavano già negli anni Cinquanta. Ma in questo momento la teoria più volte esposta dagli studiosi a livello internazionale non coincide con lo sviluppo dell’IA come noi conosciamo. Motivo per cui la scrittrice e giudice del Premio Costa Smeralda ha pensato bene di contattare uno dei massimi esperti del settore viste la sua ricca, intensa articolata attività di ricerca.
Giuseppe Trautteur, oltre a essere un fisico, è anche consulente scientifico per l’Adelphi. Ma questa parte, per quanto sia rilevante, va in secondo piano rispetto alle questioni che vengono avanzate da Chiara Valerio dopo il convegno dei matematici che si è tenuto a Seattle. Nella splendida intervista che si può trovare sul quotidiano lo studioso fornisce una perfetta definizione dell’intelligenza «Ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi altra caratteristica dell’intelligenza umana che possono essere descritti così precisamente da poter costruire una macchina che li simuli».
Come già scritto, già la cibernetica – ramo della scienza che punta allo studio e la realizzazione di dispositivi e macchine capaci di simulare le funzioni del cervello umano – ha sviluppato diverse riflessioni sul tema. Trautteur si riferisce alla modellizzazione e connessione dei neuroni, «dopo che da tempo era stato dimostrato che i neuroni erano uno separato dall’altro, dal momento che c’erano le sinapsi».
Per Trautteur l’intelligenza artificiale nuova è completamente diversa da quella di pochi anni fa. Allora c’era l’idea di descrivere prima quello che si deve ottenere e poi farlo realizzare a un Adesso si parla addirittura di creatività”. O meglio di coscienza. «C’è il sospetto che queste intelligenze artificiali non siano solo dei sistemi simbolici, ma che comincino, e qui ho paura a dirlo, esse stesse a capire» e ad avere «un linguaggio compreso da una loro coscienza».
Riccardo Lo Re
