Il commento di Elena Loewenthal dopo la decisioni delle celebri gemelle della televisione di affidarsi al suicidio assistito
La mostra delle gemelle Alice ed Ellen Kessler ha di fatto riacceso il dibattito sul tema legato al suicidio assistito. Le icone dello spettacolo – ben conosciute anche in Italia – hanno scelto di morire inseme nella loro villa di Grunward, a Monaco di Baviera. Una decisione già programmata da tempo nella loro villa di Grunward, a Monaco di Baviera e possibile solo dopo aver completato tutta una serie di procedure previste secondo ordinamento giuridico tedesco. Con questo gesto le sorelle – che hanno condiviso un’intera carriera davanti ai riflettori delle principali trasmissioni televisive – hanno voluto che la loro vita terminasse senza che nessuna potesse sopravvivere al dolore della perdita dell’altra. Una sofferenza che doveva restare privata, ma che è diventata – nel bene o nel male – di dominio pubblico dopo l’annuncio della loro morte, assistita da un avvocato e da un medico.
Il confronto si è di nuovo acceso in Italia tra chi è contrario e chi è a favore di questa procedura. Su questo argomento è intervenuta anche Elena Loewenthal in un editoriale pubblicato su La Stampa. La giudice del Premio Costa Smeralda si sofferma sul «perché la libertà di morire, e morire per propria mano nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, è nel nostro Paese ancora una delicata, ardua e non di rado impossibile passeggiata sul filo – dell’assenza legislativa, delle decisioni di un tribunale o di un altro, dello stigma di un certo, come dire, disprezzo». Altrove, invece, «è, semplicemente ma non per questo disinvoltamente, l’esercizio di un diritto. Civile, umano», senza «impervie procedure talora più sfiancanti della malattia e delle sofferenze che hanno condotto a una decisione così drastica».
Per questo è necessario rispettare la loro scelta, conclude Elena Loewenthal. Un rispetto – della persona, del dolore e del desiderio, dell’affetto e del diritto – che «è possibile solo là dove questo diritto civile è tale di fatto e non solo di nome».
Riccardo Lo Re
